L’essenziale è invisibile agli occhi. Domenica di Pasqua
La prova della Risurrezione di Cristo è invisibile, non perché immaginaria, ma perché nascosta agli occhi di chi non sa amare e non riconosce l’Amore ricevuto.
Letture: At 10,34a.37-43; Sal 117 (118); Col 3,1-4; Gv 20,1-9
Ho scelto come titolo di questa riflessione una famosissima frase de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry perché trovo incredibile che la testimonianza della verità della Risurrezione venga resa – in apparenza – senza prova alcuna, anzi, in flagrante assenza del “corpo del reato”.
Mi si perdoni il linguaggio e il paragone da polizia scientifica, ma… mi sono chiesto: la Liturgia (e gli Evangelisti in primis) non potevano narrarci subito dell’incontro col Risorto, almeno la notte e il giorno di Pasqua?
Il grande assente
Sia il vangelo della Veglia (cfr Mc 16,1-7), sia quello del mattino di Pasqua hanno in comune un assente illustre: Gesù.
Le donne vanno al sepolcro di buon mattino, convinte di trovare il cadavere di un crocifisso (deposto in fretta e furia per il sopraggiungere del giorno sacro di riposo) e invece trovano un angelo ad annunciare la Sua assenza:
«non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto».
Stessa storia con il vangelo di questa mattina: Maria di Magdala era andata al sepolcro quando era ancora buio, probabilmente per piangere su un cadavere, anche a distanza, da dietro una pesantissima pietra.
E invece si trova a tu per tu con l’assenza non solo del Suo amato, ma perfino di ciò che ne restava:
«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!»
Tu fidati e basta
Piuttosto impegnativa la richiesta che ci viene fatta, di credere a fronte di una assenza, della “mancanza di prove”!
Noi che siamo abituati al «provare per credere», al «se non vedo e non tocco con mano non mi fido» (come sentiremo dire da Tommaso domenica prossima) siamo messi a dura prova!
Perfino i due discepoli di Emmaus (di cui si leggerà stasera) sottolineano questa difficoltà:
«alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Come si fa a credere in base a delle visioni di donne così amareggiate da avere le traveggole? Ad una tomba vuota, che può voler dire tutto e il contrario di tutto?
La fede è forse un “salto nel buio”? Un mettere nel cassetto per un attimo la ragione e lasciarsi suggestionare dai propri sogni?
Avrebbero ragione quegli scettici che definiscono i primi cristiani come vittime di una allucinazione collettiva!
L’invisibile che parla
Il racconto giovanneo che abbiamo ascoltato stamattina lascia allibiti per il diverso atteggiamento dei due discepoli coinvolti:
Simon Pietro… entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – … Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Tutti e due vedono le stesse cose, ma solo il discepolo amato arriva alla fede.
Cosa ha visto di così convincente per fare un atto di fede?
Ha visto delle “reliquie”: i teli e il sudario che fino a poco prima nascondevano il corpo morto del Maestro.
Sono segni di qualcosa che è rimasto e di qualcuno che non c’è più.
Cosa è rimasto?
Sono rimaste le fasce che avvolgevano il cadavere di Gesù: la testimonianza di una vita donata per davvero, “spremuta” fino in fondo, tanto da disegnare col sangue la Sua figura (non è un caso l’importanza che ha avuto nei secoli la Sacra Sindone).
È il segno indelebile di un atto d’Amore estremo, di una promessa mantenuta:
«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me… e do la mia vita per le pecore» (cfr Gv 10,14-15).
È la prova di un impegno portato a termine, fino in fondo:
Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine (cfr Gv 13,1).
Chi non c’è più?
Non c’è più il corpo di Gesù torturato e ucciso: quella realtà che tanto li aveva angosciati, tanto da non volerla vedere coi propri occhi, non esiste più… è stata superata, definitivamente.
Il cadavere di una persona continua a testimoniare per secoli la sua sconfitta; continua a ricordare ad ogni uomo che lo aspetta una fine certa e ineluttabile.
Ebbene: quella che sembrava essere la parola “fine” anche sulle speranze che Gesù aveva cercato di instillare nei suoi amici, adesso non ha più una base dimostrativa.
Manca il “corpo del reato”, sì: ma è la Morte ora ad avere un problema di “mancanza di prove”, perché il corpo del Figlio di Dio non è proprio riuscita a trattenerlo!
Freme la Morte, impaurita, perché in lontananza sente già risuonare un canto:
La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov’è, o morte, la tua vittoria?
Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? (1Cor 15,54c-55).
Non c’è più quel corpo che Dio aveva voluto assumere per condividere in tutto (eccetto il peccato) la nostra fragilità umana: d’ora in poi chi lo vedrà farà fatica a riconoscerlo, proprio perché quel corpo ormai era stato trasfigurato per sempre, in una vita totalmente nuova!
Credere attraverso l’invisibile
Torno ora al titolo della mia riflessione, tratta dal finale del capitolo XXI de Il Piccolo Principe:
«Va’ a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto…
Addio – disse la volpe. – Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi… È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante».
Stamattina, cercando di spiegare ai bambini presenti alla Santa Messa, come mai il discepolo amato sia riuscito a credere alla Risurrezione di Gesù semplicemente vedendo i teli e il sudario nella tomba vuota, ho fatto questo esempio:
quando un ragazzo torna a casa da scuola e trova la sua stanza riordinata, i vestiti che aveva usato il pomeriggio precedente ben lavati, profumati, stirati e riposti nel cassetto, la tavola apparecchiata e un bigliettino con su scritto «il pranzo è in frigo, devi solo scaldarlo», a chi pensa?
Ai suoi genitori, che adesso non sono lì in casa con lui, perché sono al lavoro, ma hanno lasciato dietro a sé i segni inequivocabili del loro amore per lui!
Sono piccoli segni, piccoli gesti quotidiani, ma che dicono tanto, molto più di regali costosi o fatti nelle “grandi occasioni” in cui è “obbligatorio” (un compleanno, un anniversario, San Valentino, etc…).
Certo, una persona insensibile e distratta, potrebbe passare sopra a tutti questi segni come qualcosa di normale e scontato (e – ahimè – molti dei nostri ragazzi sono spesso così), ma se si ascolta e si guarda col cuore, è impossibile non rendersi conto di tutto l’amore che ci circonda.
L’Amore di Dio non è invisibile
Siamo avvolti dalla presenza del Risorto, circondati dai segni inequivocabili del Suo Amore, ma spesso siamo ciechi, ovvero: pretendiamo di vedere con gli occhi del corpo.
La fede (che non è assolutamente contraria alla ragione) si serve di altri occhi: quelli del cuore.
Io ho gli occhi pieni di segni evidenti della presenza viva di Cristo!
L’anno scorso – in questi giorni – ero in casa, schiacciato fisicamente e moralmente da questa pandemia: celebravo la Santa Messa da seduto e recitando solo mentalmente le formule liturgiche, perché la polmonite mi impediva di fare diversamente.
Sentivo su di me l’angoscia e lo smarrimento della mia gente e di tanti cristiani del mondo, sofferenti per la privazione della possibilità di esprimere la loro fede nelle celebrazioni pasquali.
Quest’anno siamo tutti qui, in chiesa; stiamo (più o meno) bene, possiamo celebrare nella gioia e in fraternità la Pasqua di Cristo! …è vero: siamo stanchi, e impazienti di poterci liberare per sempre di questo maledetto virus, ma abbiamo tanti motivi di speranza!
Ma se siamo qui non è un caso! Non è che «ci è andata bene» (e infatti ci siamo stufati presto di esporre striscioni con scritto #andràtuttobene); non è che «l’abbiamo scampata bella!»
No! Noi cristiani sappiamo che se abbiamo resistito, se siamo ancora qui, vivi, sani, felici, lo dobbiamo a Lui, che non smette di mantenere la sua promessa: «Non vi lascerò orfani» (Gv 14,18).
Invisibile perché nascosto
È proprio quello che non si vede a prima vista, ciò che “non appare” e non si mostra platealmente, che dà senso alle cose, e fonda la ragione di ciò in cui crediamo.
Proprio come un gesto nascosto e furtivo di affetto, che vale più di tante smancerie fatte per “etichetta” (quando potremo tornare ad abbracciarci, spero proprio che riserveremo baci e abbracci per le persone alle quali vogliamo davvero bene, e non a chiunque, per “fare bella figura”!)
Gli stessi discepoli di Emmaus, che hanno avuto la grazia di incontrare il Risorto, si sono accorti della Sua presenza non quando camminava con loro, o mentre entrava nella locanda per mettersi a tavola, ma proprio nel momento in cui sparì dalla loro vista. È lì che i loro occhi si aprono e il loro cuore si rende conto di ardere.
Ciò che è essenziale alla fede rimane invisibile a chi non crede.
La prova della Risurrezione di Cristo è invisibile, non perché immaginaria, ma perché nascosta agli occhi di chi non sa amare e non riconosce l’Amore ricevuto.
Potremo essere credenti (e poi testimoni della Risurrezione) solo quando avremo imparato a guardare noi stessi, la nostra vita e la storia, con gli occhi del cuore, riconoscendoci destinatari di un Amore immenso, così grande da avvolgerci tutti, e nasconderci alla vista di chi non crede, come ci ha detto l’apostolo Paolo nella seconda lettura:
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.