Tra il dire e il fare… 17ª Domenica del Tempo Ordinario (A)
È facile dire di aver capito gli insegnamenti di Gesù. Molto più difficile è metterli in pratica. Lo è stato per i discepoli, lo è ancor di più per noi.
Omelia per domenica 30 luglio 2023
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Letture: 1Re 3,5.7-12; Sal 118 (119); Rm 8,28-30; Mt 13,44-52
Gesù termina il Suo discorso chiedendo ai discepoli se hanno compreso tutto quanto ha insegnato attraverso le parabole del Regno e loro rispondono subito di sì… Che falsi!
Vi chiederete il perché di questa mia accusa… È presto detto.
Tra il dire e il fare…
Gesù ha insegnato che il regno dei cieli sembra piccolo e insignificante, ma ha la forza di crescere di un granello di senape e sprigiona l’energia di un pizzico di lievito… Ebbene: alla prima occasione di fidarsi di questo, i Dodici che fanno? Si dimostrano i soliti scettici.
Basta leggere gli episodi di moltiplicazione dei pani e dei pesci (cfr Mt 14,13-21 e Mt 15,29-39). Nella versione di Giovanni, infatti, Andrea ribatte a Gesù:
«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (Gv 6,9)
Non hanno capito che il regno dei cieli – Gesù – è lì con loro, e continuano a ragionare e calcolare solo con mezzi umani.
Non basta avere le orecchie
E nonostante il miracolo della moltiplicazione sia avvenuto due volte, passando proprio attraverso le loro mani, questo non ha sortito alcun effetto nel loro cuore:
[i discepoli] discutevano fra loro perché non avevano pane. [Gesù] Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via? …Non comprendete ancora?» (cfr Mc 8,14-21).
Non basta capire il senso delle cose a livello teorico, se poi si tira avanti come se nulla fosse successo.
Nonostante all’inizio Gesù avesse proclamato «beati» i loro occhi perché vedono e i loro orecchi perché ascoltano (cfr Mt 13,16), i discepoli sembrano tornati presto ad essere come il resto della folla e come quelli denunciati da Isaia:
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore (cfr Mt 13,15 e Is 6,9-10).
Nostalgia e paura
Ancora: Gesù ha insegnato che il regno dei cieli è un tesoro, una perla di grande valore per i quali vale la pena di dare via tutto, ma i discepoli dimostrano di esserne ancora incapaci.
1. Prima di tutto, sono ancora attaccati alle loro cose, manifestando un senso di nostalgia e rimpianto:
Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?» (Mt 19,27)
2. E più ancora, sono attaccati alla loro vita, con una paura tremenda di perdere se stessi che li farà fuggire abbandonando Gesù, il vero tesoro:
Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono (Mt 26,56b).
Sassi e spine
Pare proprio di veder rispecchiati in loro i due terreni infruttuosi descritti nella prima parabola:
- quello seminato tra i rovi, dove «la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto»;
- quello sassoso, che «non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno» (cfr Mt 13,20-22).
Giudici frettolosi
Anche sulla capacità di attendere nel giudicare e separare il bene dal male dimostreranno di non aver capito la parabola della zizzania e quella della rete gettata in mare:
Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva» (Mc 9,38);
Quando videro ciò [che i Samaritani non volevano ricevere Gesù], i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Lc 9,54).
Un cammino lungo
Insomma: è facile dire di «sì», a parole, razionalmente, ma è molto più difficile rendere vero quel «sì» e farlo diventare la regola della propria vita. Lo è stato per i discepoli, come abbiamo visto, e lo è soprattutto per noi.
La conversione è un cammino lungo, che non avviene una volta per tutte, nemmeno quando è sensazionale come quella di alcuni santi che conosciamo. La dimostrazione è la testimonianza dell’apostolo Paolo che, dopo una conversione radicale, si ritrova ad ammettere:
Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto… in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio… (cfr Rm 7,14-25).
Cerchiamo di fare, più che di dire
Dobbiamo rimanere umili e riconoscere davanti a Dio, a noi stessi e ai nostri fratelli, che spesso il nostro dire non corrisponde al nostro operare.
Dobbiamo domandare perdono delle numerose volte in cui siamo di poco esempio per chi ancora non crede e sta cercando di incontrare il Maestro ma vede in noi un motivo di scandalo più che un aiuto a trovare la strada del Regno.
Un grande padre della Chiesa diceva:
«È meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo».
(Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini)
L’impegno che possiamo prenderci, a fronte di quanto abbiamo meditato, è quello di cercare di dire di meno e fare di più, e quando riusciamo a fare qualcosa di buono, a farlo di nascosto, senza dirlo e sbandierarlo ai quattro venti (cfr Mt 6,1-4).