Vergogna sul volto

Vergogna

La vergogna collettiva è il sentimento che potrebbe aiutare noi cristiani a recuperare il senso del dovere evangelico di essere «lievito nella pasta».

Omelia per lunedì 26 febbraio 2024

Letture: Dn 9,4-10; Sal 78 (79); Lc 6,36-38

La prima lettura di oggi ci presenta una stupenda preghiera di intercessione penitenziale che il profeta Daniele eleva a Dio a nome di tutto il popolo in un momento di prostrazione.

Suppliche, digiuno, penitenza

Il contesto è descritto dai primi 3 versetti del capitolo 9 (che il Lezionario non ci fa leggere):

Nell’anno primo di Dario, figlio di Serse… io, Daniele, tentavo di comprendere nei libri il numero degli anni di cui il Signore aveva parlato al profeta Geremia …Mi rivolsi al Signore Dio… con preghiera e suppliche, con il digiuno, veste di sacco e cenere (cfr Dn 9,1-3).

Il brano è un intreccio di reminiscenze bibliche, ed è assai vicino alla preghiera di Azaria1 e ad altre preghiere sparse nei vari libri dell’Antico Testamento.2

È una supplica dall’andamento liturgico, un’umile confessione dei peccati di tutto Israele: lo stato di colpa pervade l’intero popolo di Dio, nelle sue varie componenti sociali (re, principi, padri).

A Dio misericordioso

Come sempre nella Bibbia, però, prevale il sentimento di speranza, perché Dio è

fedele all’alleanza e benevolo verso coloro che lo amano e osservano i suoi comandamenti.

Perciò, nonostante

siamo stati ribelli, ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue leggi! Non abbiamo obbedito ai tuoi servi, i profeti

non viene meno la volontà di Dio di perdonare:

al Signore, nostro Dio, la misericordia e il perdono.

La vergogna sul volto

Quello che ha attirato la mia attenzione, in questa supplica costruita “a dittico” (tra il peccato del popolo da una parte e la bontà di Dio dall’altra) è il tornare due volte dell’espressione

a noi la vergogna sul volto.

La vergogna è un sentimento complesso, e può avere due significati principali:

  1. un profondo e amaro turbamento interiore che ci assale quando ci rendiamo conto di aver agito o parlato in maniera riprovevole o disonorevole;
  2. un sentimento di timidezza e imbarazzo nell’esporsi a fare qualcosa in pubblico.

Quello indicato dal profeta (come atteggiamento che il popolo merita di sperimentare) è senz’altro il primo.

A tal proposito, mi viene in mente quante volte mia madre, da piccolo, mi rimproverava per la mia vergogna infantile nel fare qualcosa in cui bastava avere semplicemente un po’ di coraggio, proprio dicendomi che

bisogna aver vergogna solo a fare del male!

Peccato collettivo

Mi ispira questa “vergogna collettiva”, perché credo sia un sentimento utilissimo da sperimentare tutti quanti, in una società dove spesso – a fronte di qualsiasi problema – la prima reazione è quella di dire «ma io non c’entro».

Anche il profeta Daniele poteva tranquillamente “tirarsi fuori” dal peccato del popolo, eppure ripete ben due volte «a noi la vergogna sul volto».

L’uomo moderno, e in particolare il credente, deve rendersi conto di contribuire alla collettiva incapacità di amare, di costruire la pace, di prendersi cura del Creato… di tutti quei “peccati strutturali” di fronte ai quali ci si rifugia sempre dietro un «ma io cosa ci posso fare?»

Vergognarsi per “salare” il mondo

È proprio il procedere “senza vergogna” che impedisce ai cristiani di essere testimoni e profeti, e li rende insipidi e inutili nel mondo.3

Invece, vergognarsi quotidianamente e pubblicamente di non essere ancora riusciti, come il lievito, a far fermentare la pasta,4 è il passo necessario per far suonare il campanello d’allarme dell’umanità indifferente.

  1. Cfr Dn 3,25-45. ↩︎
  2. Cfr Ger 32,16-24; Esd 9,6-15; Nee 9,6-37; 1Re 8,22-53. ↩︎
  3. «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente» (Mt 5,13). ↩︎
  4. Cfr Mt 13,33. ↩︎