«È andato in cielo». Ascensione del Signore (C)

Torno in cielo
Commento alle letture di domenica 29 maggio 2022

Gesù Risorto non è salito in cielo, ma è disceso definitivamente e in modo totalmente nuovo sulla terra, riempiendola per sempre della Sua presenza.

Letture: At 1,1-11; Sal 46 (47); Eb 9,24-28;10,19-23; Lc 24,46-53

«Dov’è adesso il nonno? – È andato in cielo…»

Quante volte abbiamo sentito questo dialogo tra una mamma e il suo bambino, troppo piccolo per capire il mistero della morte?

E quante volte anche noi – non sapendo cosa rispondere – siamo rimasti muti di fronte alla replica del bambino:

«ma perché? Non poteva restare qui, per sempre?»

Perché è andato in cielo?

La morte, questo misterioso “passaggio”, rimane per tutti un mistero insondabile; e – anche se per Gesù è stato diverso (perché Lui era Risorto e vivo) – per chi rimane quaggiù, il distacco da chi se ne va “in cielo” resta comunque traumatico e difficile da capire, da accettare.

Prima o poi, a tutti sono sorte queste domande:

Non poteva restare? Perché Gesù se n’è andato?

– Non poteva rimanere in mezzo a noi Risorto e vivo, per sempre?

– Non sarebbe stato più bello?

No: l’andare in cielo è un passaggio necessario, e Gesù l’aveva annunciato chiaramente:

«è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi» (Gv 16,7).

È uno dei vangeli che abbiamo ascoltato questa settimana.

Il Paràclito, lo Spirito Santo che la Chiesa attende ogni giorno (e in particolare in questi ultimi giorni del tempo pasquale che ci separano dalla solennità della Pentecoste) è il “modo nuovo” che Gesù ha “escogitato” per rimanere presente in mezzo a noi per sempre, per onorare quella promessa che abbiamo riascoltato oggi nel versetto del Canto al Vangelo:

«ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20b).

È proprio perché Gesù è «salito in cielo» che anche oggi possiamo festeggiare la Sua presenza in mezzo a noi in ogni luogo e in ogni momento.

Fuori dal tempo e dallo spazio

Fin quando Gesù era con i Suoi discepoli, poteva essere (come ogni creatura) solo in un determinato posto in un determinato istante (è la teoria della curvatura spazio-temporale elaborata da Albert Einstein); ma – con la risurrezione – Gesù ha superato queste limitazioni.

Infatti, i vangeli ci attestano che – una volta risorto – Gesù appariva nello stesso momento in diversi luoghi (cfr Lc 24,33-35) ed entrava nel Cenacolo a porte chiuse (cfr Gv 20,19.26).

Gesù aveva bisogno di “liberarsi” dei limiti del tempo e dello spazio, per essere definitivamente presente in ogni angolo del mondo, contemporaneamente e per sempre.

Questa nuova “condizione” di Gesù è iniziata immediatamente con la Sua risurrezione, e non dopo l’Ascensione al cielo. Lo capiamo dal dialogo tra Gesù e la Maddalena narrato nel vangelo di Giovanni:

«Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”» (Gv 20,17).

Ma lo si capisce anche leggendo il finale del Vangelo di Luca proposto dalla liturgia odierna, dove la Risurrezione e l’Ascensione avvengono nello stesso giorno (cfr Lc 24,1.13.36.50).

Dov’è il Paradiso?

Questo ci fa capire che il Cielo non è un luogo: l’essere «elevato in alto» di Gesù non è un cambio fisico di postazione, ma di condizione.

Con la risurrezione Gesù non è uscito dall’universo, ma è entrato nella comunione piena e definitiva con il Padre, e la nube che lo sottrae alla vista dei Suoi discepoli richiama da vicino la stessa che lungo tutta la Scrittura ha rappresentato il mondo misterioso di Dio (cfr le decine di testi che parlano della “nube” di Dio).

Anche noi che siamo ormai “grandi” (ma magari non ancora adulti nella fede) facciamo l’errore di pensare al Paradiso come ad un luogo chissà dove, oltre i cieli, oltre l’universo, irraggiungibile… ma Gesù aveva detto fin dall’inizio della Sua predicazione che:

«il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15);

«il regno di Dio è in mezzo a voi!» (Lc 17,21).

Non “dove” ma “con chi”

Il Cielo (inteso come «il regno dei cieli» di cui spesso ci ha parlato Gesù) non è un luogo, ma una Persona: è Dio stesso, Padre, Figlio e Spirito Santo.

E questa Persona, proprio perché Gesù è risorto, non è distante, ma abita in noi, se Lo vogliamo ascoltare, come abbiamo ascoltato nel vangelo di domenica scorsa (e risentiremo domenica prossima):

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).

Il Paradiso è una relazione d’Amore infinito tra noi e Dio: un essere noi con Dio e Dio con noi, sempre (infatti, non è forse quando “scacciamo” Dio dal nostro cuore che iniziamo a fare esperienza dell’inferno?).

Il Cielo è dentro di noi

Possiamo dire, perciò, che il Cielo abita dentro di noi: non abbiamo bisogno di andare chissà dove per incontrare Dio, perché lo possiamo trovare semplicemente entrando nel nostro cuore e ascoltando la Sua Parola.

È l’esperienza che già il popolo di Israele aveva già fatto migliaia di anni fa:

«Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo… Non è di là dal mare… Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore…» (cfr Dt 30,11-14).

È l’esperienza che fece Sant’Agostino al termine della sua ricerca e del suo cammino di conversione:

«Tu infatti eri all’interno di me più del mio intimo e più in alto della mia parte più alta»;

«tu eri davanti a me; e io invece mi ero allontanato da me stesso, e non mi ritrovavo; e ancora meno ritrovavo te».

(Agostino d’Ippona, Confessioni, III,6,11 e V,2,2)

Dio è tutto in tutti

Per questo, come dicevo già nella riflessione di domenica scorsa, noi possiamo davvero affermare che Dio non è “in cielo”, ovvero: non è relegato in un luogo lontano, e nemmeno in chiesa, né è incontrabile solo in giorni particolari (la domenica o “le feste comandate”), perché «Dio è tutto in tutti» (cfr 1Cor 15,28).

Ogni uomo di ogni luogo e di ogni tempo può incontrare Gesù risorto. Dal giorno di Pasqua, nessuno è estraneo a Dio.

Nessuno può più dire «che c’entra Dio con la mia vita?».

Nessuno può dire: «Dio non conosce la fatica del lavoro» e neppure «Dio non conosce la morte».

Da quel giorno nulla (eccetto il peccato) è estraneo a Dio.

Comunione con Dio, in terra come in cielo

Allo stesso tempo, da quel giorno è cominciata la nostra comunione con Dio, che sarà definitiva quando anche noi entreremo in cielo, in quel “luogo-non luogo” che è la dimensione della vita risorta, dove già si trova Cristo, assieme a Maria Sua madre e a tutti i Santi, e assieme a tutti nostri cari che si sono lasciati prendere per mano da Lui.

Ma è una comunione che possiamo vivere già su questa terra, in tre “luoghi” specifici:

1. nell’Eucaristia

«Prendete, mangiate: questo è il mio corpo» (Mt 26,26);

2. nella Comunità

«dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20);

3. nei poveri

«tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Ascendere con Cristo

Quando Gesù è ritornato al Padre ha iniziato a “portarsi dietro” – uno ad uno – tutta l’umanità, come ci aveva promesso:

«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me… Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (cfr Gv 14,1-3).

Perciò, siamo chiamati ad “ascendere” ogni giorno di più verso di Lui, perché non solo Lui dimori in noi (attraverso il Suo Spirito e la vita sacramentale) ma anche noi dimoriamo in Lui, coltivando l’ascolto e la fedeltà alla Sua Parola:

«come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa» (cfr Gv 17,21-22).

Nella comunione dei Santi

Come accennavo all’inizio di questa riflessione, la festa dell’Ascensione ci fa riflettere sul senso profondo di ogni separazione umana…

La mia speranza è che – dopo i pochi e semplici pensieri che vi ho condiviso – la risposta che diamo ai bambini quando ci domandano spiegazioni sul senso della morte («è andato in cielo») ora sia un po’ più “informata”, ovvero nutrita di una sana convinzione.

Spero che quando diciamo che i nostri cari «sono in cielo con Gesù» lo facciamo con la consapevolezza che – siccome noi siamo in Cristo, e Cristo è in Dio, e lo sono anche le persone a noi care che Lui ha già chiamato a Sé – noi possiamo vivere ogni momento la comunione con loro.

È la fede nella Comunione dei Santi che abbiamo proclamato tante volte in queste domeniche del tempo pasquale recitando il Credo apostolico.

Non è solo poesia o nostalgia

Quella del cristiano che “sente vicine a sé” le persone care che sono morte non è un’autosuggestione, una sorta di nostalgia che “materializza” idealmente i propri congiunti defunti, ma una certezza della nostra fede.

Certo, noi – ancora segnati dalla fragilità umana e “prigionieri” della condizione mortale che ci lega indissolubilmente allo spazio e al tempo – facciamo fatica ad esprimere questa certezza, e ci serviamo di immagini poetiche, come quelle che tante volte usiamo alla fine dei funerali (cfr il testo di Henry Scott Holland che inizia dicendo «La morte non è niente»).

A tal proposito mi viene in mente anche un passo del capitolo finale del Piccolo Principe:

«Anch’io oggi torno a casa…

Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere!

e quando ti sarai consolato (ci si consola sempre) sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra, così, per il piacere… E i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai: “Sì, le stelle mi fanno sempre ridere!” e ti crederanno pazzo».

(Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, XXVI)

Una fede fondata sulla Parola

Sì: chi ascolta un cristiano professare la sua fede nella risurrezione e nella Comunione dei Santi probabilmente lo crede pazzo, e ancor di più se lo vede vivere di questa gioia e certezza intima; ma noi fondiamo la nostra speranza e la nostra fede su una certezza, che è Cristo risorto:

Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti. Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo… (cfr 1Ts 4,13-18).