Le chiavi o la Croce? 22ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

Le chiavi o la Croce?

Le chiavi del Regno dei Cieli sono la rinuncia a sé, l’accoglienza della Croce e la sequela di Cristo nel dono generoso della nostra vita agli altri.

Omelia per domenica 3 settembre 2023

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Letture: Ger 20,7-9; Sal 62 (63); Rm 12,1-2; Mt 16,21-27

Fa proprio un bel capitombolo l’apostolo Pietro nel giro di pochi istanti: passa dall’essere dichiarato “maggiordomo” del Regno dei Cieli a “portinaio degli inferi”, inviato di Satana!

Fraintendimenti

Cos’ha fatto di così grave per innescare un cambiamento così repentino?

Niente di che: aveva “solo” preso in disparte il Maestro e l’aveva rimproverato. Che sfrontatezza, che superbia!

Vari fraintendimenti l’avevano portato a farlo: due in particolare.

Padroni anziché amministratori

Anzitutto Gesù gli aveva detto «A te darò le chiavi del regno dei cieli…», non «eccoti le chiavi». Pietro credeva di essere diventato già il padrone del Paradiso, e non il futuro amministratore fedele della grazia di Dio.

Quante volte anche oggi – a partire dai sacerdoti fino ai laici che hanno qualche responsabilità in parrocchia – ci dimentichiamo di essere amministratori di un tesoro che non è nostro, e ci facciamo padroni del Vangelo!

Come Pietro, ci sentiamo in diritto non solo di sapere qual è il volere di Dio, ma addirittura di poterlo condizionare con le nostre direttive pratiche.

La chiave sbagliata

Il secondo fraintendimento di Pietro era il non aver capito di quali chiavi stesse parlando Gesù.

Se torniamo alle letture di domenica scorsa (in particolare la prima), noteremo certo un dettaglio. Promettendo di trasferire il titolo di maggiordomo di palazzo da Sebna a Eliakìm, il Signore dice:

«Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide»

La Liturgia ha scelto quel testo come “preparazione” alla pagina evangelica della consegna delle chiavi perché era senz’altro il riferimento biblico che Gesù intendeva richiamare.

Ma il fatto che la chiave venga posta «sulla spalla» (e non data in mano), suggerisce in modo abbastanza evidente che si tratta di una chiave del tutto particolare: sulle Sue spalle Gesù porterà la Croce! Quella è la chiave che stava consegnando a Pietro.

Le chiavi del Regno

Non si va in Paradiso in carrozza, come dice il proverbio: non ci sono scorciatoie. Per entrare nel Regno dei Cieli c’è una sola via: quella percorsa da Gesù, quella della Croce.

È Lui la via, la verità e la vita, e nessuno può andare al Padre se non per mezzo di Lui (cfr Gv 14,6). Ecco perché, dopo aver invitato Pietro a rimettersi dietro a Lui, Gesù dice a tutti:

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Le chiavi del Regno, perciò, sono tre:

  1. il rinnegamento di sé,
  2. l’accoglienza della Croce,
  3. la sequela di Gesù.

Rimando alla riflessione di tre anni fa chi volesse approfondire il tema del rinnegamento di sé, in particolare alle pratiche “pillole di indietreggiamento” che suggerivo.

Domine, quo vadis?

Invece, per quanto riguarda la sequela di Gesù e l’accoglienza della Croce, mi rifaccio all’episodio del Quo vadis, narrato negli Acta Petri (un apocrifo del II secolo sulla vita di san Pietro) e ripreso dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze.

Secondo questa leggenda, mentre Pietro fugge lungo la via Appia per sottrarsi alla persecuzione voluta da Nerone, gli appare Cristo che porta la Croce.

Pietro, sorpreso e sgomento, gli chiede: «Quo vadis, Domine?» (ovvero «Signore, dove vai?»). Questi risponde: «Eo Romam, iterum crucifigi» («Vado a Roma, per farmi crocifiggere una seconda volta»).

Parole pesanti, il cui intento è ammonire l’apostolo per la scelta di darsi alla fuga anziché seguire le orme del Suo Maestro. Pietro comprende il messaggio del Signore, torna a Roma e accetta il martirio.

Onori senza oneri

È un racconto che, pur immaginario, riassume molto bene la vicenda umana di Pietro e di ciascuno di noi: pretendiamo di chiamarci cristiani senza seguire Cristo!

La tentazione di intendere il nostro essere cristiani come un vanto e un motivo di orgoglio, o – peggio – di vivere il ministero che ci è affidato come un potere da esercitare anziché un servizio agli altri è sempre in agguato.

Perdere per ritrovare

Passiamo la vita intera a cercare di risparmiarci, di non “consumarci”, e purtroppo viviamo così anche il nostro cammino di fede… Ma una candela che non vuole consumarsi non fa luce a nessuno!

Una vita tenuta per sé, sotto una campana di vetro, è sprecata, inutile; solo una vita spesa per gli altri è carica di senso e degna di essere vissuta. Ecco il significato delle parole di Gesù:

«chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà».

L’ho detto più volte: il cristianesimo non è un inno alla sofferenza fine a se stessa o l’esaltazione del martirio come motivo di vanto… Dio per primo vuole la nostra felicità, ma ci insegna che anche nel dolore – se vissuto con fede – è nascosto il Suo disegno di salvezza.

La Croce e il martirio, se accolti come e con Gesù, sono le chiavi che aprono nuovi orizzonti, sono un “ponte” verso la Vita eterna.

Le immagini dicono più delle parole

A tal proposito vi lascio una serie di vignette che esprimono molto bene cosa succede a chi passa la vita a cercare di “schivare” o alleggerire la Croce:

Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...
Portare la croce...