Obbedienza cieca. Mercoledì Santo

Obbedienza cieca

Obbedienza è ascoltare il Signore fino in fondo, anche quando le conseguenze possono far pensar male di Lui. È fidarsi ciecamente di Dio, a costo della vita.

Omelia per mercoledì 5 aprile 2023

Letture: Is 50,4-9; Sal 68 (69); Mt 26,14-25

Ho riletto la riflessione di tre anni fa e – modestamente – mi sono commosso nuovamente, perciò mi sento di auto-citarmi e farvela rileggere, se avete tempo, perché – davvero – dopo aver letto il vangelo di oggi, preferisco essere quel “tale”

che ha messo a disposizione la sua casa perché Gesù potesse celebrarvi la Pasqua coi suoi discepoli.

Non ha un nome, non viene descritto… eppure in casa sua – grazie alla sua disponibilità – avverranno i più grandi misteri dell’inizio della comunità cristiana.

Ebbene sì: la sua casa, quella «grande sala al piano superiore, addobbata con divani» (cfr Mc 14,15 e Lc 22,12) diventerà il Cenacolo.

Il Messia-Servo

Quest’anno, invece, mi fermo di più sulle bellissime immagini che troviamo nella prima lettura (brano già ascoltato domenica), che è parte del terzo canto del Servo di Jahvè nel libro del profeta Isaia.

Due tipi di sottomissione

Nel breve testo sono presentate in successione due sottomissioni di natura piuttosto diversa; una al Signore:

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.

L’altra agli uomini:

Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.

L’obbedienza del Servo

È sconcertante questo accostamento, no? Perché può essere frainteso in più modi:

  • si può pensare che le sofferenze del Messia-Servo siano la conseguenza diretta della sua cieca obbedienza a Dio;
  • si potrebbe addirittura pensare che la volontà di Dio sia proprio veder torturare il Suo Servo!

Io, invece, credo che questi due esempi di remissività (così diverse per quanto riguarda il soggetto a cui sottomettersi) siano accostati proprio per descrivere in modo lampante e sintetico la qualità formidabile dell’obbedienza del Servo.

Obbedire a Dio significa lasciarsi «aprire l’orecchio senza opporre resistenza», senza «tirarsi indietro», a costo di andare incontro a qualcosa che può sembrare l’esatto contrario della Sua volontà.

Fede è obbedienza

Sempre nella Scrittura la fede si mostra come obbedienza cieca, insensata… come Abramo che molla tutto e fa quel che gli dice il Signore (come ascoltavamo nella prima lettura della 2ª domenica di Quaresima):

In quei giorni, il Signore disse ad Abram:

«Vàttene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò…»

Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore (cfr Gen 12,1-4).

La libertà più grande

A noi non piace questa cosa, anzi: la detestiamo, perché la vediamo come una negazione della nostra libertà.

Invece, se si crede, se ci si fida veramente di qualcuno, se gli si vuole bene… obbedirgli è l’atto di libertà e di Amore più grande, perché si decide di dire «sì» a quella persona con tutto se stessi, mettendo sul piatto il prezzo della propria vita.

Fidarsi di qualcuno, amarlo, è ascoltarlo con attenzione e prendere sul serio le sue parole… così sul serio da giocarsi la vita!

Così i grandi credenti si fidano di Dio. Così Gesù si è fidato del Padre Suo.

Credere è gettarsi: non nel vuoto, ma tra le Sue braccia (vi invito a rileggere la storiella di Bruno Ferrero già citata tempo fa).

Obbedienza e consegna

In tal senso, credo che l’obbedienza di Gesù al Padre, ribadita anche nei testi di questo terzo giorno della Settimana Santa, sottolinei ancora una volta quel che dicevo nella riflessione di domenica: non è Giuda a consegnare Gesù, ma è Gesù a consegnarsi volontariamente a noi.

Mi auto-cito nuovamente: la Passione di Gesù è

l’orchestrazione di una grande “sinfonia” di cui il compositore è Dio e il direttore d’orchestra è Gesù stesso…

Gesù non è consegnato, ma si consegna spontaneamente. È lui il padrone degli eventi; è Lui a fare dono della Sua vita, e così a portare a compimento le Scritture, ovvero la volontà di Dio Padre…

Ma questa padronanza di sé non è questione di carattere più o meno deciso e coraggioso… è – di nuovo – il frutto di una fiducia incrollabile in Dio, che si dimostra nell’obbedienza fino alla fine:

«Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà» (cfr Mt 26,39-42).