Beato chi non rifiuta. 28ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

Rifiutare un regalo

Oggi alla Messa bisognerebbe dire «Beati gli invitati che non rifiutano l’invito alla Cena dell’Agnello». Ma spesso è la Chiesa che ha generato questo rifiuto.

Omelia per domenica 15 ottobre 2023

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Letture: Is 25,6-10; Sal 22 (23); Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14

Il rifiuto è il tema centrale delle tre parabole che Matteo ci ha raccontato in sequenza: quella dei due figli (due domeniche fa), quella dei vignaioli omicidi (domenica scorsa), e quella degli invitati alle nozze questa domenica.

Ma più centrale ancora è ciò che si rifiuta, ovvero: il dono di Dio, il Suo Regno.

Al centro c’è il Vangelo

Lo ribadisco, perché il rischio è quello di concentrarsi sulla parte negativa e tragica di queste parabole, dimenticandoci che stiamo ascoltano il Vangelo, cioè la “Buona Notizia”.

La Notizia Bella è che possiamo dire tutti i “no” che vogliamo e seguitare a rifiutare i doni del Signore, ma Lui rilancerà ancora una volta più di noi.

Se rifiutare gli inviti di Dio è grave (al punto che le ultime due parabole si permettono di dipingere l’ira del padrone della vigna e del re), non dobbiamo dimenticare che

  • il Regno di Dio non verrà vanificato da questi rifiuti, perché «sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (cfr Mt 21,43);
  • il banchetto del Regno non resterà deserto, perché alla fine la sala delle nozze si riempirà di commensali (cfr Mt 22,10).

La speranza di Dio è che prima o poi ci stanchiamo di rifiutare e ci arrendiamo al Suo Amore, accogliendo i Suoi doni.

Beato chi non rifiuta l’invito

Ogni domenica, quando andiamo a Messa, sentiamo dire «Beati gli invitati alla cena dell’Agnello», ma credo che al giorno d’oggi dovremmo cambiare quella frase con un «Beati quelli che non rifiutano l’invito alla cena dell’Agnello».

Sì, perché, come abbiamo ascoltato dalla parabola di oggi, tutti sono invitati, «cattivi e buoni», ma molti rifiutano, e anche chi accoglie l’invito lo fa con malavoglia, senza indossare l’abito a festa (sul tema dell’abito vi rimando alla riflessione di tre anni fa).

  • Quanti cristiani partecipano regolarmente alla Messa domenicale?
  • E, di quelli che partecipano, quanti salgono a ricevere la Santa Eucaristia?
  • E di quelli che fanno al Comunione, quanti la ricevono con gioia?

Incapaci di gratuità

Eucaristia significa “rendimento di grazie”, ringraziamento di fronte a un dono gratuito, ma non credo sia questo lo spirito di molti dei fedeli che ancora frequentano la Santa Messa.

Perché? Perché non siamo più capaci di gratuità; non solo siamo incapaci di donare gratuitamente, ma più ancora di accogliere un dono gratuito.

Accogliere un dono ci pesa, ci mette a disagio.

La malattia del sentirsi in debito

Non è forse vero che, quando arriva un invito a nozze o ad un battesimo, scatta il panico? Il primo pensiero è «Noooo! Adesso mi tocca fare un regalo costoso!»

E allora si comincia a cercare un motivo plausibile per cui rispondere «mi spiace, ma devo rifiutare», così da cavarsela tutt’al più con un regalino da quattro soldi.

Allo stesso modo, di fronte a un semplice pensierino che qualcuno ci porta di ritorno da un viaggio, ci schermiamo dietro un «non dovevi»… Ma spesso non è per manifestare sorpresa e gratitudine, ma piuttosto per il disappunto del sentirsi in debito e in obbligo di ricambiare.

Tutto ha un costo

Viviamo in un mondo in cui niente è più gratis, tutto ha un costo, e se qualcuno ci dà qualcosa senza chiedere nulla in cambio ci aspettiamo la fregatura dietro l’angolo.

In realtà, non siamo disposti a ricevere nulla gratuitamente perché non vogliamo sentirci in debito o “ricattabili” in futuro. Preferiamo essere noi nella posizione di poter dire – al momento opportuno – «ricordati che sei in debito con me!»

Vorremmo commerciare anche con Dio

Questa dinamica che regola in modo malato i nostri rapporti la applichiamo anche nei confronti di Dio: siamo convinti che col Signore funzioni lo stesso rapporto di dare-avere: crediamo di doverci (e, in qualche modo, poterci) meritare la Sua grazia.

Ma cosa potremmo mai dare a Dio che non provenga da Lui? Nulla ci appartiene, tutto abbiamo ricevuto! (cfr 1Cor 4,7)

Quanto è difficile lasciarci amare, dagli uomini e anche dal Signore…

Un «mea culpa» necessario

In questo anche la Chiesa deve fare un grosso «mea culpa», perché ha spesso presentato la vita cristiana come qualcosa che funziona secondo un complesso schema di meriti e demeriti, offuscando la gratuità dell’Amore di Dio.

Formalmente la Chiesa insegna da sempre che tutto è grazia e che nulla possiamo meritare con le nostre sole forze (cfr il Catechismo della Chiesa Cattolica ai nn. 1987-2029), ma spesso e volentieri – in quanto intermediaria tra Dio e gli uomini – pone un sottile ricatto nell’amministrare i doni gratuiti di Dio… il più tipico: «se non porti tuo figlio a catechismo, se non vieni alle riunioni dei genitori etc… non gli do la Prima Comunione».

È giusto preparare i fedeli a ricevere i Sacramenti con una sana istruzione cristiana, per evitare di gettare le perle ai porci (cfr Mt 7,6), ma è del tutto sbagliato insegnare che ci si debba meritare la Grazia di Dio.

Perciò, mi viene da pensare che, se oggi molti cristiani rifiutano l’invito alla Mensa, non è solo per pigrizia o sciatteria, ma anche perché istruiti in un modo del tutto sbagliato.

Basta dogane!

Come dicevo qualche giorno fa in una riflessione feriale, ha ragione Papa Francesco a dire che, invece di essere invito gioioso, la Chiesa è spesso una “dogana” che non lascia passare nessuno o, tutt’al più, impone dazi costosissimi e regole insopportabili per aderire alla propria piccola setta.

Preghiamo che il Sinodo in corso favorisca una vera e necessaria conversione della Chiesa ad essere specchio e tramite della gratuità e della grazia di Dio.