Ignoranza colpevole. 3ª Domenica di Pasqua (B)
Pietro scusa il popolo di Israele (e persino i suoi capi) perché ha «agito per ignoranza». Ma la nostra ignoranza, è ancora così incolpevole?
Omelia per domenica 14 aprile 2024
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Letture: At 3, 13-15.17-19; Sal 4; 1Gv 2,1-5; Lc 24,35-48
È proprio una persona nuova quella che parla al popolo agitato dallo stupore per il miracolo di guarigione dello storpio.1
Pietro è ormai risorto e rinato nello Spirito: non solo ha vinto la sua codardia e parla con coraggio, ma ha finalmente compreso le Scritture, e ora è capace di spiegarle alla gente.
Franchezza e misericordia
Cefa parla al popolo con franchezza, senza peli sulla lingua:
«voi avete consegnato e rinnegato [Gesù] di fronte a Pilato… avete rinnegato il Santo e il Giusto… Avete ucciso l’autore della vita».
Ci va giù pesante, ma subito dopo li scusa:
«fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi».
Sembra di rileggere, in filigrana, le parole di perdono e di scusa di Gesù dalla croce:
«Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (cfr Lc 23,34).
Non comprendere le Scritture
In realtà, sia i capi che il popolo erano ben coscienti di aver condannato un innocente, altro che «aver agito per ignoranza»!
Allora perché sia Gesù che Pietro li scusano? Che cosa ignoravano?
Ignoravano le Scritture.
Non che non le conoscessero, anzi! Però, anche loro, come i discepoli, non avevano compreso il significato profondo delle «cose scritte su Gesù nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi».
Leggere senza capire
Quando si erano accaniti contro Gesù non avevano capito che le Scritture parlavano proprio di Lui, che era proprio Lui quel Servo innocente di cui aveva profetizzato Isaia.
Quante volte avevano le avevano aperte pensando di averle capite ma non era così: come i capi dei sacerdoti e gli scribi convocati da Erode,2 come i Giudei rimproverati da Gesù,3 come il funzionario Etiope incontrato da Filippo, che leggeva proprio il Canto del Servo di Jahvè nel profeta Isaia senza capirlo.4
Come l’apostolo Paolo, formato alla scuola del grande Gamaliele,5 ma ancora ignorante prima di incontrare Cristo sulla via di Damasco:
ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede (1Tim 1,13).
Nessuno di tutti questi aveva ancora ricevuto lo Spirito Santo; perciò, non avevano quella luce necessaria per comprendere il significato profondo di quei testi che lo Spirito stesso aveva ispirato.
Ignoranza colpevole
Ma noi possiamo ancora “rifugiarci” dietro la scusa dell’ignoranza?
Noi che abbiamo ricevuto la testimonianza del Risorto, che siamo morti e risorti con Cristo nel Battesimo, che siamo stati ricoperti in abbondanza dal Suo Spirito nel giorno della Cresima?
Noi che possiamo fruire tutti i giorni della Parola di Dio della Liturgia spiegata, “spezzettata”, attualizzata e condivisa, possiamo ancora dire di «non avere i mezzi» necessari a comprenderla?
Noi che abbiamo a disposizione Scuole della Parola, fior di esegeti che spiegano la Bibbia dal vivo o su internet, possiamo ancora accampare delle scuse?
No, la nostra è un’ignoranza colpevole, crassa e superba, dettata dalla supponenza di sapercela lunga senza bisogno che nessuno ci insegni nulla.
Non abbiamo scuse
È l’ignoranza di chi – pur dicendosi cristiano – di fronte agli insegnamenti della Chiesa risponde con una pernacchia e dice «il mondo è cambiato; se Gesù fosse qui ora farebbe e direbbe cose diverse».
Come argomenta bene l’apostolo Paolo all’inizio della sua Lettera ai Romani, è l’ignoranza di quegli uomini che
soffocano la verità nell’ingiustizia… dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato… ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti… (cfr Rm 1,18,23).
La cura dell’ignoranza è l’umiltà
L’unica cura contro questa deriva, l’unica medicina spirituale che dobbiamo chiedere, è l’umiltà, che ci fa riconoscere la nostra stoltezza e il bisogno di essere sempre istruiti, come insegnava già Socrate.
È l’umiltà di chi – come san Paolo – sa che l’unico Maestro è il Cristo e l’unica sapienza è la Sua Croce:
ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura (cfr Fil 3,7-11).
E ancora
…quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso (cfr 1Cor 2).