Questione di immagine. 33ª Domenica del Tempo Ordinario (A)
Lo srotolarsi della nostra vita, quello che decidiamo di fare o non fare dipende sostanzialmente dall’immagine che abbiamo di noi stessi e, soprattutto, di Dio.
Omelia per domenica 19 novembre 2023
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Letture: Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127 (128); 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30
Mi capita spesso, in confessione, di dover incoraggiare persone che si abbattono e hanno una concezione totalmente distorta di sé.
Un’immagine sbagliata di sé
Non è infrequente, ad esempio, ascoltare donne affrante, che dicono
«Sono una cattiva madre, una moglie pessima… e un’incapace sul lavoro».
Dopo averle lasciate sfogare, le guardo e dico loro:
«Sappi che tu sei la madre migliore per i tuoi figli, la moglie migliore per tuo marito e l’impiegata migliore per il tuo datore di lavoro. Se così non fosse, il Signore avrebbe messo qualcun altro al tuo posto».
Generalmente, la mia risposta suscita stupore, ma poi porta consolazione, quando – per spiegarne il senso – cito proprio la parabola odierna, sottolineando in particolare la seguente frase:
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno…
Solo Dio sa chi siamo
Il Vangelo si chiama così perché è una buona notizia, e la prima notizia bella che ci viene da questa pagina è che Dio ci conosce nel profondo, sa di cosa siamo capaci e si fida ciecamente di noi.
È Lui che ci ha creati, è Lui che conosce il nostro cuore e ogni sfaccettatura della nostra personalità, ed è ancora Lui (e solo Lui) che conosce il nostro passato, presente e futuro.
Sant’Agostino aveva capito e riassunto questa convinzione in un’espressione bellissima delle sue Confessioni, definendo Dio «più intimo a noi di noi stessi».1
Se c’è qualcuno che può esprimere un giudizio ponderato e veritiero su di noi quello è proprio Dio.
Questa parabola ci fa capire che Dio dice di noi «Bene, servo buono e fedele» prima ancora di consegnarci il Suo patrimonio, altrimenti non ce lo avrebbe affidato: Dio crede in noi prima ancora che Gli dimostriamo qualcosa!
Un’immagine sbagliata di Dio
Ma questa pagina di vangelo va a girare il coltello in una piaga che tanti di noi hanno aperta: l’immagine sbagliata di Dio che ci portiamo dentro, espressa in modo spietato nelle parole del terzo servo:
«Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura…»
Questa, purtroppo, è la raffigurazione di Dio che tanti portano nel cuore, e spesso vi è stata instillata da una predicazione del tutto scandalosa da parte della Chiesa, quando presentava Dio come il “grande fratello”, il “grande controllore”, lo “spione” («Dio ti vede»), il “castigamatti” pronto a mandarti all’inferno al primo sgarro.
Un “dio” spaventoso, che fa paura.
Di fatto, l’immagine sbagliata che abbiamo di noi stessi nasce proprio da un’immagine distorta di Dio: se Dio è un padrone spietato ed esigente anziché un padre buono e misericordioso, non potrà mai essere contento e orgoglioso di noi, e noi non potremo sentirci altro che insufficienti e inadeguati al Suo cospetto.
Fatti a Sua immagine
Invece, non dobbiamo mai dimenticare che Dio ci ha fatti «a sua immagine e somiglianza» (cfr Gen 1,26), e che questa immagine non si può cancellare!
Potremmo anche cadere in una pozzanghera e imbrattarci totalmente di fango, ma la nostra fisionomia rimarrà sempre la stessa: porteremo sempre impressi in noi i tratti del nostro Padre celeste.
Quando il figliol prodigo torna a casa malandato, sudicio e straccione, chiedendo di essere trattato come un servo, suo padre lo interrompe, lo fa lavare, ripulire e vestire come un principe (cfr Lc 15,18-19.21-22).
Qualsiasi cosa capiti, Lui non smette mai di ripeterci: «Tu sei mio figlio! E io sono orgoglioso di te!» (cfr Lc 3,22)
Guardiamoci allo specchio
Perciò, guardandoci allo specchio, impariamo a non fermare l’attenzione sui nostri capelli arruffati o sulle macchie di sporco che hanno imbrattato il nostro viso e i nostri vestiti, ma – dietro a quel sudiciume – intravediamo e riconosciamo i tratti inconfondibili di Dio Padre, che ci ha fatti a Sua immagine.
Dobbiamo imparare a guardarci come ci guarda il Signore, e a non – al contrario – pensare che Egli ci guardi dall’alto in basso secondo i nostri strettissimi canoni di perfezione.
Cosa restituire a Dio
Come dicevo nella riflessione di tre anni fa, Dio non pretende da noi l’impossibile, e talvolta nemmeno il possibile: Egli desidera solo che ci diamo da fare, ciascuno secondo le proprie capacità, che non sprechiamo la nostra vita commiserandoci e piangendoci addosso.
Commentando il brano del tributo a Cesare che abbiamo letto qualche domenica fa, dicevo che noi siamo il tesoro di Dio perché portiamo impressa la Sua immagine.
Questo significa che – alla fine del nostro cammino terreno – a Dio non dovremo portare cose materiali, ma noi stessi, perché la Sua moneta, i Suoi talenti, siamo noi!
L’unico sbaglio possibile
E dovremo portarGli la nostra vita non bella conservata e profumata, avvolta in un fazzoletto, ma tutta “sciupata” e sporca, perché ne avremo fatto uso fino in fondo, dandoci da fare ogni giorno. Per questo Gesù ci ammonisce:
«Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà» (cfr Mt 10,39 e Mt 16,25).
Anche Papa Francesco ce l’ha ricordato tante volte:
preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze (Evangelii Gaudium 49).
Il Signore ci ha messo in mano tutto il Suo patrimonio: l’unico modo di sbagliare nell’amministrarlo non è perderlo o non farlo rendere abbastanza, ma tenerlo da parte senza utilizzarlo, per paura.
- «Tu autem eras interior intimo meo et superior summo meo»: «Tu eri più dentro in me della mia parte più interna e più alto della mia parte più alta» (Agostino d’Ippona, Confessioni III, 6, 11). ↩︎