Riconoscere i propri peccati

Riconoscere i propri peccati

Le avversità della vita sono un’occasione per riconoscere sinceramente le nostre colpe, anche se non sono direttamente legate ad esse. Non perdiamo l’occasione.

Commento alle letture di mercoledì 12 luglio 2023

Letture: Gen 41,55-57; 42,5-7.17-24; Sal 32 (33); Mt 10,1-7

Purtroppo non è possibile leggere in modo continuato e completo le più belle storie della Sacra Scrittura durante la Liturgia della Parola quotidiana, perché non ce la faremmo mai a leggerle tutte (a meno di leggere 3-4 pagine ogni giorno), quindi il Lezionario è costretto a fare delle scelte.

Saltare proprio le pagine più belle!

Oltretutto ci si mettono pure le feste con le letture proprie a interrompere un racconto già frammentato di suo.

Ieri, per esempio, la festa di san Benedetto ci ha impedito di leggere un passo che mi sta molto a cuore: quello della lotta notturna di Giacobbe con un uomo misterioso che, alla fine, si rivela essere Dio stesso.

È la rappresentazione quasi teatrale di quella vera e propria lotta che è il rapporto con Dio: i Padri della Chiesa (come san Girolamo e Origene) vi hanno letto l’immagine del combattimento spirituale e dell’efficacia di una preghiera insistente.

Di palo in frasca

Oggi il Lezionario fa un “balzo” di addirittura 10 capitoli, saltando tutte le storie di Giacobbe, della nascita dei suoi 12 figli (che saranno i capostipiti delle tribù di Israele) della riconciliazione col fratello Esaù, della storia di Giuseppe e i suoi fratelli gelosi, che prima decidono di ucciderlo e poi lo vendono.

Ci troviamo già in Egitto, dopo che Giuseppe – là deportato – ne ha passate di tutti i colori ed è ormai stato promosso a capo dell’amministrazione di tutto l’Egitto per aver interpretato i sogni del faraone.

Durante la grande carestia di sette anni preannunciata al faraone attraverso i sogni, Giuseppe è incaricato di vendere il grano che ha accumulato sapientemente nei sette anni precedenti di grande abbondanza, e – tra tutti i popoli che vengono in Egitto a comprare cibo – arrivano anche i suoi fratelli.

Riconoscere le proprie colpe

Lui li riconosce ma loro no, e – per metterli alla prova – li fa gettare in carcere accusandoli di essere spie venute a perlustrare il territorio (cfr Gen 42,9-16). Dopo tre giorni, trattenendo in ostaggio uno di loro, li invita a tornare al loro paese a prendere il fratello più piccolo per dimostrare la loro sincerità.

È a questo punto che, finalmente, i suoi fratelli iniziano a sentire il peso delle loro colpe verso Giuseppe e a riconoscere di aver agito senza pietà verso di lui:

Si dissero allora l’un l’altro: «Certo su di noi grava la colpa nei riguardi di nostro fratello, perché abbiamo visto con quale angoscia ci supplicava e non lo abbiamo ascoltato. Per questo ci ha colpiti quest’angoscia».

Ruben prese a dir loro: «Non vi avevo detto io: “Non peccate contro il ragazzo”? Ma non mi avete dato ascolto. Ecco, ora ci viene domandato conto del suo sangue».

Nella tragicità di quello che sta loro succedendo, il loro animo è portato a riflettere sul peccato da loro commesso.

Nessun legame causa-effetto

Ho già detto più e più volte che non c’è nessun legame diretto tra i nostri peccati e le sventure che capitano nella nostra vita, e che Dio non punisce i nostri peccati qui in terra con disgrazie e tragedie varie.

Il seguito del racconto (che ascolteremo nei prossimi giorni) ne sarà l’ennesima dimostrazione, anzi: ribadirà il concetto che Dio è capace di volgere la nostra cattiveria in occasione di bene.

Però ho anche più volte affermato che il male che sperimentiamo nella nostra vita è un invito a riflettere sul male causato da noi, che contribuisce ad aumentare la mole di sofferenze presenti nel mondo.

Anche se i fratelli di Giuseppe ragionano con uno schema “semplice” di causa-effetto (che sperimenteranno essere sbagliato), non è sbagliato prendere occasione delle proprie sventure per riflettere e riconoscere i propri errori e le proprie responsabilità.

Saper provare compassione

Chiudo con un’ultima riflessione sulla finale del brano, che ci riferisce del pianto di Giuseppe.

È un’annotazione molto bella e importante, perché ci orienta già al seguito edificante del racconto: nonostante tutto il male che ha subito dai suoi fratelli, Giuseppe è ancora capace di provare compassione per loro e di mettersi nei loro panni.

Non agisce con loro da aguzzino vendicativo ma – nell’educarli pian piano con l’invito a riflettere sui propri errori – è capace di sentire i loro sentimenti di angoscia e condividerli.

Usare la stessa misericordia di Dio

È quello che siamo chiamati a fare noi coi nostri fratelli quando sbagliano e ci fanno del male, soprattutto quando si dimostrano pentiti e disposti a riconoscere i propri errori e ne domandano sinceramente perdono.

Ecco, su questo credo che dobbiamo camminare ancora molto, sia perché siamo piuttosto vendicativi, sia perché – anche di fronte al pentimento dei nostri fratelli – non siamo mai paghi e abbiamo misure assolutamente lontane dalla misericordia che Dio ha nei nostri confronti e che ci invita ad esercitare tra di noi gli uni verso gli altri.