Dio ce ne chiederà conto. Solennità di Cristo Re (A)

Dio ce ne chiederà conto

Quando ci presenteremo davanti all’Onnipotente, non ci chiederà conto di quante preghiere avremo detto, ma se avremo saputo riconoscerlo nei poveri.

Omelia per domenica 26 novembre 2023

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Letture: Ez 34,11-12.15-17; Sal 22 (23); 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

Questa pagina di vangelo è dirompente: non può lasciare indifferenti. Eppure, pare che ce la ricordiamo solo una volta ogni tre anni, quando arriva la festa di Cristo Re, che chiude il ciclo liturgico “A”.

La prova è lo scalpore suscitato dalle parole di Papa Francesco domenica scorsa, in occasione della settima giornata mondiale dei poveri:

La povertà è uno scandalo. Quando il Signore tornerà ce ne chiederà conto.

Non è il Papa: è il Vangelo!

Pensare che sia il Papa a esagerare i toni è la prova evidente che dai nostri vangeli abbiamo strappato questa pagina (sempre che ancora abbiamo un vangelo in casa e ci prendiamo la briga di leggerlo ogni tanto).

Non è Jorge Mario Bergoglio (definito “comunista”, fissato coi poveri e gli emarginati) a rimarcare queste cose, ma Gesù stesso.

È Dio che ha il “pallino” dei poveri e degli ultimi, da sempre! L’ho ribadito tante volte, anche tre domeniche fa, dicendo che i piccoli e gli indifesi sono “il chiodo fisso” di Dio.

I veri sacramenti

E lo dicevo tre anni fa, usando parole ardite a livello teologico:

L’umanità sofferente è il “luogo” della presenza di Gesù: i piccoli delle Beatitudini (perseguitati, affamati e assetati di giustizia) sono un “Sacramento”, perché in essi si rende presente Cristo!

La presenza reale di Cristo si realizza certamente nelle Specie Eucaristiche, ma altrettanto e – oserei dire, ancor di più – nelle Sue membra sofferenti: nei poveri del mondo.

Sono parole di Gesù, non mie o di Papa Francesco:

«tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».

Il criterio di giudizio di Dio è questo, inequivocabilmente. E non potremo dire che non lo sapevamo.

Di cosa ci chiederà conto?

Quando ci presenteremo al cospetto dell’Onnipotente, Egli non ci chiederà conto se siamo andati a Messa la domenica, se abbiamo detto le orazioni del mattino, se le abbiamo recitate attentamente… Prima di tutto ci chiederà conto se avremo avuto amore e misericordia verso di Lui nascosto nelle membra sofferenti dell’umanità.

Quante persone vengono a confessarsi con la “lista della spesa” di peccati che riguardano l’inosservanza delle cosiddette “pratiche di pietà”… tutte cose importanti, ben inteso, ma quanti si rendono conto che ogni Rosario e ogni digiuno sono inutili, e che ogni Santa Messa è resa vana e sacrilega se si trascurano i poveri?

I veri peccati

Il vero peccato non è distrarsi durante la Messa, ma rimanere indifferenti davanti al grido di dolore che sale dalla terra!

Proprio nei giorni scorsi, durante la catechesi agli adulti, abbiamo incrociato questo passo del Magistero:

la maggior parte del mondo soffre di una miseria così grande che sembra quasi intendere nei poveri l’appello del Cristo che reclama la carità dei suoi discepoli.1

Un tempo i miracoli eucaristici avvenivano perché il celebrante dubitava della realtà della transustanziazione; oggi dovrebbero accadere cataclismi immani per segnalarci che l’umanità ha perso ogni compassione, così da non riconoscere Cristo presente nel povero!

L’origine del male

In questi giorni, tutta l’Italia è scossa dal dolore per la sorte della povera Giulia Cecchettin, ed è normale che tanto orrore lasci sgomenti, che ci si senta solidali con lei, con la sua famiglia, con la sofferenza di tutte le donne del mondo che subiscono violenza.

Ma non ci si può nascondere dietro a un dito, indicando la cosiddetta cultura del patriarcato come la causa di queste tragedie.

Responsabile di queste violenze non è l’educazione a una figura di maschio debordante, o – almeno – non è solo quella.

L’origine di ogni male è l’egoismo unito all’indifferenza che, come una radice cattiva, crescono da sempre nel cuore di ognuno di noi e ci fanno voltare dall’altra parte di fronte a ogni ingiustizia e sofferenza che non ci riguardi da vicino, adducendo come scusa che abbiamo già i nostri problemi, i nostri dolori e le nostre preoccupazioni.

Distratti, indifferenti, autocentrati

Quando succedono fatti dolorosi come questo scendiamo per strada con le fiaccole per dire che «Giulia è la sorella e la figlia di ognuno di noi», ma intanto ci dimentichiamo dei bambini che ogni giorno muoiono sotto le bombe o affogano nel Mediterraneo, perché adesso Giulia è la questione nazionale.

Ma poi ne arriverà un’altra, e ci dimenticheremo anche di Giulia, purtroppo.

Abbiamo lo sguardo così centrato sulle nostre “sofferenze” (insoddisfazioni, delusioni, fallimenti), che diventiamo ciechi e cinici come Filippo Turetta, e Giulia non è più un’amica, ma l’ostacolo alla nostra autorealizzazione.

Allo stesso modo, vediamo gli affamati, gli assetati, i malati, i forestieri, come un impiccio ulteriore ai nostri problemi in questa guerra tra poveri, anzi: tra poveracci!

Di questo egoismo dilagante che ci rende prima indifferenti e poi ciechi e violenti, il Signore ci chiederà conto.

Rimaniamo umani, diventiamo cristiani

Quello che il Signore ci chiede è prima di tutto di rimanere umani, capaci di empatia, di provare dolore per la sofferenza dei nostri simili e di farcene carico.

Ma il passo ulteriore, per noi che ci diciamo “cristiani”, è quello di seguire le orme del nostro Maestro, che non solo non ha messo Se stesso e i Suoi problemi davanti a quelli degli altri, ma ha preso su di Sé il dolore e la sofferenza dell’umanità, facendosi solidale con ogni uomo che soffre.

All’uomo sofferente Gesù non ha dato solo pane, acqua, vestiti, vicinanza e consolazione, ma la Sua stessa vita: Egli è morto per ciascuno di noi.

Chi di noi sarebbe disposto a morire, non dico per un poveraccio, ma al posto della povera Giulia, se fosse possibile?

È l’Amore che arriva a donare la propria vita (cfr Gv 15,13): di questo Dio ci chiederà conto.

  1. Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes 88. ↩︎