Coscienza e verità. 5ª Domenica di Pasqua (B)

Coscienza e verità

L’unico modo per «avere la coscienza in pace» è rimanere nella Verità, ovvero: non interrompere il legame e il rapporto intimo con Dio.

Omelia per domenica 28 aprile 2024

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Letture: At 9,26-31; Sal 22; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

Ho già commentato tre anni fa il brano del vangelo di «Gesù vera vite»; oggi, perciò, vorrei concentrarmi sul bellissimo passo della Seconda Lettura, tratto dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.

Il cuore dell’uomo

Al centro di questo testo c’è il rapporto del credente col proprio cuore.

Nel linguaggio biblico, il “cuore” indica la persona stessa, la parte più profonda dell’essere umano, la sua coscienza.

Lo si capisce bene dal modo in cui si esprime san Giovanni in questi versetti:

conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri…

Sembra proprio che l’apostolo voglia suggerirci la via per essere in pace con la nostra coscienza, ben sapendo che non è una cosa per niente semplice.

A posto con la coscienza

In realtà, nel linguaggio quotidiano utilizziamo più frequentemente l’espressione «avere la coscienza a posto»: è l’abitudine di giudicarsi da sé in base a un proprio “metro di misura” interno che pretende di essere oggettivo e definitivo.

Ma se siamo sinceri dobbiamo ammettere che tale giudizio su di sé manca di oggettività, e spesso ci lascia in uno stato di incertezza interiore da cui non riusciamo più ad uscire: siamo soli con noi stessi, soli contro tutti.

Così la nostra coscienza è allo sbando, altro che in pace e tranquilla! Ci esaltiamo, oppure ci abbattiamo, ci accusiamo o ci autoassolviamo dalle nostre mancanze (per poi venir assaliti dagli scrupoli)…

La coscienza in pace

Solo Dio ci può donare la pace del cuore, perché

Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.

Il Signore è l’unico che ci conosce per davvero: conosce le nostre fatiche, le nostre paure, i nostri sforzi, le nostre delusioni, i nostri tentennamenti; con Lui non c’è bisogno di inventare scuse o mettere maschere.

L’aveva capito bene l’apostolo Pietro, quando – alla terza volta che Gesù gli chiedeva «mi vuoi bene?» – allargò le braccia dicendo:

«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (cfr Gv 21,15-17).

Dio è l’unico che ci guarda con Amore, benevolenza e misericordia, anche quando sbagliamo e non manteniamo le nostre promesse, perché è nostro Padre.

Coscienza e verità

L’unico modo per non rimanere soli e indifesi con la nostra coscienza, in balìa dell’incertezza e della paura, è che questa rimanga “legata” a Dio nella verità, come i tralci alla vite, appunto.

Se non rimaniamo attaccati a Cristo il nostro cuore parlerà da solo, facendo risuonare in sé la nostra voce o quella del mondo: in ogni caso, una voce fasulla e inquietante (oppure così accomodante da spegnere la nostra coscienza).

Giovanni ci dice che per rassicurare il nostro cuore (ovvero: per trovare la pace della coscienza) dobbiamo «essere dalla verità»; e Gesù ci insegna che per essere dalla verità occorre ascoltare la Sua voce (cfr Gv 18,37).

Ascoltare la voce di Dio significa osservare i Suoi comandamenti, facendo quello che gli è gradito, amando «non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità».

Rimanere in Dio

L’ho detto tante volte: il cristiano non è quello va dove lo porta il cuore, ma colui che permette che il suo cuore sia guidato da Dio, dove vuole Dio; e, perché questo sia possibile, non recide mai quel legame, quel rapporto intimo e originario che c’è tra il proprio “io”, la propria coscienza, e Dio.

Questo significa rimanere in Cristo e far sì che le Sue parole rimangano in noi.

Il sacrario dell’uomo

Alla fine di questa riflessione, mi piace citare ancora una volta il numero 16 di Gaudium et spes, che descrive in maniera sublime questo rapporto intimo originario tra il cuore dell’uomo e Dio:

La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo.

(Concilio Vaticano II, Gaudium et spes 16)